Vinitaly 2016: 50 anni di vita, tra novità e acciacchi

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Visuale dall’alto dei padiglioni. Vinitaly 2016. 50esima edzione. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Vinitaly per l’edizione 2016 (quello a che segna il 50esimo anniversario) si rinnova, in meglio. Oltre a più aziende c’è una maggiore varietà di produttori presenti, da quelli tradizionali, a quelli associati Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), passando per la novità: Vivit (vignaioli, viticoltori, terroir).

Particolare del padiglione del Veneto, regione ospitante, a testimonianza della necessità/volontà di essere social del mondo del vino. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Particolare del padiglione del Veneto, regione ospitante, a testimonianza della necessità/volontà di essere social del mondo del vino. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

L’esplosione nel mercato del bio in generale, ha fatto si che un numero sempre maggiore di aziende proponga in gamma almeno un vino bio, o perlomeno da uve derivanti da agricoltura biologica.
Il Vinitaly però è anche l’occasione giusta per assaggiare alcune chicche come uno spumante ottenuto da uve passite Moscato di Trani, dal colore oro carico e sentori di frutta passita, confetture di albicocca e fico seco, ma al tempo stesso con un’ottima bevibilità essendo proposto nelle due varianti brut e pas dose.

Il passito lo preferite spumante metodo classico o fermo? Pas Dosè,Brut o Dolce? Moscato di Trani proposto in tre versioni dall'azienda agricola Franco di Filippo di Trani (BT). Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Il passito lo preferite spumante metodo classico o fermo? Pas Dosè,Brut o Dolce? Moscato di Trani proposto in tre versioni dall’azienda agricola Franco di Filippo di Trani (BT). Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Il Brunello di Montalcino? L’annata 2010, presentata ormai un anno fa, che ora si fregia della menzione “riserva”, mantiene le promesse sperate anche se in qualche caso si è esagerato con l’uso del legno, che ha reso troppo morbido il vino.
Vinitaly 2016 però è vitigni resistenti, come Solaris, Bronner e Sauvigner gries, presentati anche in un convegno di Veneto Agricoltura, oltre che da alcuni produttori, anche con certificazione biologica. Si tratta infatti di vini ottenuti da varietà resistenti alle principali malattie fungine come Peronospora e Oidio, per cui non si rendono necessari trattamenti con prodotti chimici di sintesi.
Ne è un esempio lo “Zero Infinito“, un vino bianco frizzante sui lieviti ottenuto da Solaris, prodotto dall’azienda Pojer e Sandri di Faedo (TN).

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Limpido o torbido? Ardua la scelta tra le sue versioni dello “Zero Infinito” vino biologico prodotto da uve Solaris, varietà resistente a bacca bianca. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Il 50esimo anniversario di Vinitaly ha rappresentato però un’occasione troppo ghiotta per i nostri politici per fare campagna elettorale e sbandierare ai quattro venti le cose positive del Governo Renzi, tant’è che al siparietto vi hanno partecipato lo stesso premier e il capo dello Stato, oltre al Ministro dell’agricoltura, Martina.
Cari politici, non potete venire e bloccare una fiera per farvi vedere dalla gente: state bloccando una fiera…qui la gente ci viene per lavorare non per venire a guardare voi.
L’affluenza non è stata quella degli altri anni, complice il fatto che il costo del biglietto è aumentato e che c’è un maggiore controllo nella vendita dei biglietti a chi viene solo per cercare l’ebrezza…se non l’avete ancora capito..Vinitaly, quest’anno, vi ha lanciato un messaggio chiaro: statevene a casa che è meglio per tutti.

Credits: Testi e foto: Matteo Ghirardo

Bosco del Merlo “Roggio dei Roveri Riserva” Lison Pramaggiore DOC 2009

Refosco dal Peduncolo Rosso Riserva “Roggio dei Roveri” DOC Lison Pramaggiore 2009 Bosco del Merlo

Foto bottiglia

Foto bottiglia. Fonte: sito aziendale “Bosco del Merlo”

Il vitigno Refosco dal peduncolo rosso deve il suo nome particolare alla colorazione rossa del peduncolo, cioè della base del rachide (raspo). Questo vitigno, auctoctono friulano, appertiene alla più vasta famiglia dei refoschi, la quale comprende, oltre al vicino parente Refosco nostrano o di Faedis, anche vitigni come il Terrano o la Cagnina di Romagna (sinonimo del Terrano), tutti accomunati da un origine comune con la stessa famiglia di viti selvatiche, come dimostrato da recenti studi sul DNA. Il vitigno Refosco dal peduncolo rosso è presente soprattutto in Friuli-Venezia Giulia, suo territorio di eccellenza e nel Veneto, dove è stato recentemente inserito nelle DOC di recente approvazione.

Tecnologia di produzione: le uve, vendemmiate a mano e selezionate attraverso una cernita qualitativa, sono vinificate con una macerazione sulle bucce che varia dai 25 ai 30 giorni per consentire la miglior estrazione di colore e tannini. Il vino matura poi in carati di rovere per 12 mesi e successivamente in botti più grandi per 6 mesi.

Commento: rosso da autoctono friulano. Non è il top della gamma aziendale, ma ci è piaciuto comunque

Note di degustazione:viola intenso dai riflessi malva (viola vivo). Bel frutto al naso (quasi da un taglio bordolese oppure da Merlot in purezza). In bocca esprime note di caffè, olive taggiasche e tabacco. Il tannino è bello presente in bocca ma al tempo stesso vellutato, setoso e rotondo.

L’azienda: Bosco del Merlo è un brand del Gruppo Paladin S.p.A., gruppo vinicolo guidato dall’omonima famiglia in quel di Annone Veneto (PN). Vi fanno parte le cantine Tenuta Paladin in Friuli-Venezia Giulia che produce vini friulani e veneti, Castello Bonomi in Franciacorta (BS), Premiata Fattoria di Castelvecchi (SI) in Toscana.

Data della degustazione:  26/04/2016

Credits: Foto: Bosco del Merlo – Tenute Paladin; Testo: Matteo Ghirardo, Quattrocalici.it

 

Brut de Castel M.C. Brut – Buffon Giorgio

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Lo Chardonnay è considerato in tutto il mondo un vitigno molto versatile, in quanto si presta a più variazioni della vinificazione in bianco, dalla produzione dello spumante con il metodo classico (Trentodoc, Franciacorta, Champagne e Cava, tanto per fare i nomi delle maggiori aree DOC di vini spumanti in cui entra nell’uvaggio), metodo Martinotti (solo in versione lungo, quindi Cavazzani, perchè non è un vitigno aromatico) oppure il tradizionale bianco fermo o un frizzante.

Brevi note sulla tecnologia di produzione:  Solo Chardonnay proveniente da Castello Roganzuolo (TV), comune ai confini di Conegliano e vendemmiato manualmente. Pressatura delle uve, decantazione statica per la chiarfica del mosto e avvio della fermentazione in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata. Fermentazione malolattica svolta in acciaio inox ad opera dei batteri lattici indigeni, a volte però svolta naturalmente in bottiglia.
Chiarifica del vino e filtrazione. Aggiunta della liqueur de tirage, inoculo dei lieviti e imbottigliamento per una sosta sui lieviti complessiva di oltre 10 anni  (rifermentazione attraverso il metodo classico). Sboccatura e aggiunta della liqueur d’expedition. Etichettatura e vendita.

Note di degustazione elaborate da noi: appena versato corona di spuma persistente; giallo dorato carico e bollcina finissima in una catenella che si sviluppa dal fondo del bicchiere fino alla superficie. Al naso si percepisce l’evidente nota di crosta di pane

Commento: il metodo classico a base Chardonnay che Quirino e Cleris Buffon riservano agli amici

Breve descrizione dell’azienda: azienda vitivinicola a conduzione familiare con tradizione nel vino risalente agli anni a cavallo tra l’800 e il ‘900. Si trova a Castello Roganzuolo, comune della periferia Coneglianese. Ora è gestita dai pronipoti del fondatore Francesco, Quirino e Cleris, affiancati dall’enologo Maurizio Mazza. I prodotti caratteristici sono il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG, il Prosecco DOC Treviso, vitigni da vitigni a bacca bianca quali Chardonnay, Sauvignon e Manzoni Bianco, oltre ad una selezione di rossi, Cabernet franc, Merlot, Marzemino e la chicca Castel Nero (nome di fantasia dato ad un antico vitigno).

Data della degustazione: 05/04/2016

Credits: Foto e testo: Matteo Ghirardo

Errori nella comunicazione del vino

Gli errori nella comunicazione, ahimè tanti, troppi e reiterati

La comunicazione del vino parte dal produttore, fino al servizio. Molte volte l'anello debole della catena è proprio l'ultimo. Fonte: Giornalevinocibo.it

La comunicazione del vino parte dal produttore, fino al servizio. Molte volte l’anello debole della catena è proprio l’ultimo. Fonte: giornalevinocibo.it

Poco tempo fa, sono stato invitato a una degustazione in un comune qui dalle mie parti.
E’ stata condotta da un sommelier diplomato, che dimostra di essere preparato, ma nonostante tutto commette alcuni errori nella presentazione dei vini, che inevitabilmente portano alla non riuscita dell’evento.
Partiamo dal primo – la pubblicità dell’evento – poca o la non pubblicità dell’evento stesso, sono alla base della non riuscita e della delusione delle aspettative. Ok, è il primo evento che organizzi, ma non puoi farti prendere alla sprovvista e affidarti al caso. Poi magari resiti deluso se non viene nessuno.

La scelta della location: un padiglione fieristico dove prima c’è stata un’esibizione di un gruppo di palestrati, quindi vi lascio immaginare l’odore e il caldo umido dentro, in uno spazio, poi riservato con tavoli da sagra, ma di numero scarso. Se fossero arrivate più persone di quelle (poche) che sono arrivate, cosa sarebbe successo? Sarebbero rimaste in piedi ad aspettare che se ne liberassero oppure avrebbero degustato in piedi? Non oso immaginare…

La scelta del vino, che è stato portato in degustazione ad un pubblico misto, di intenditori e di “gente comune”, non ancora adatto per essere bevuto, conscio il sommelier oltretutto della cosa, che ripeteva ad ogni persona prima di assaggiare il vino. Meglio tacere a questo punto, una volta scoperto il misfatto e nascondere il vino dalla vista..
Poi ovviamente cosa buona sarebbe renderlo indietro all’azienda, per evitare brutte figure per lui e per il produttore.

Suggerisce quindi di bere il vino e poi “profumarlo”, per capirne i sentori, ma i presenti non capiscono.  Fà quindi capire di portarlo al naso e ammette appunto che non è nelle migliori condizioni..ma allora cosa lo porti via a fare, facendo anche il nome del produttore? In primis questa persona non avrebbe dovuto mettere in commercio un vino si sano, ma dai sentori non proprio piacevoli.

Fortunatamente non tutti i vini erano in condizioni pessime per essere serviti, ma solo il primo. Gli altri erano accettabili o buoni.

La presentazione del vino proprio: due parole di fretta nel tentativo di istruire le persone nel come si beve un vino, quando capisce subito che chi ha davanti, ha l’unico desiderio di bere un bicchiere di vino, perché l’unico posto dove lo servono a quell’ora in zona e perché è diverso dal Prosecco del bar.

I vini vengono serviti, cercando di invogliare i consumatori a capirne di più su quello che c’è nel bicchiere, alle pochissime persone che hanno deciso di sedersi, così di fretta, senza dare spiegazioni, ma lasciandole al caso…ma perché allora presentare gli abbinamenti, quando proprio nessuno presta attenzione, perché proprio non ne ha voglia? Mistero!!

Il punto focale: il linguaggio usato dal sommelier, troppo distante dalla realtà dai non addetti al mondo del vino. Corretto e puntuale, ma non recepito a sufficienza, per cui ogni termine usato diventa subito vano e vago allo stesso tempo, con il risultato che gli interessati poco dopo se ne vanno, con aria molto confusa. Bisogna perciò adattare i termini usati in base a chi sta di fronte, altrimenti ci si fa vedere preparati e seri, ma offrendo la sensazione di parlare una lingua sconosciuta. Per chi non conosce il vino, bisogna essere diretti e semplici, senza cadere però nell’eccessiva semplicità.

La serata prosegue, si fa tardi, ma ormai non arriva più nessuno, se non un gruppo di ragazzi giovani, interessati a bere semplicemente del vino, altro tentativo di proporre vini alternativi al Prosecco, ma non riuscito, peccato. Qui però c’è da dire che manca una vera cultura del vino tra i giovani, nel senso che basterebbe poco per insegnare a bere bene ai giovani, soprattutto senza esagerare con le quantità. Più che i soldi da parte del settore pubblico, manca la voglia di fare. Non che sia contro il Prosecco nelle sue denominazioni, anzi, ma vista la varietà di vini italiani che abbiamo, soprattutto quelli da vitigni autoctoni, si potrebbe fare molto di più.

Insomma, ripensando a questo mezzo fiasco, mettendomi anche da parte degli organizzatori, posso dire che si poteva fare di più, magari usando i social per promuovere l’evento, lavorando in sinergia con le aziende che hanno offerto il vino. Per essere la prima volta, ci può anche stare, bisogna avere una certa tolleranza, però non si deve ripetere più. Soldi spesi dagli organizzatori a prescindere, ma per il tempo e la passione che richiede mettere in piedi un evento.

 

Foto: Giornalevinocibo.it Testo: Matteo Ghirardo