L’antica storia della grappa: dalle origini della distillazione ai giorni nostri

L’antica storia della grappa dalle origini della distillazione ai giorni nostri

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Fonte: Poli Distilleria

Molte delle conquiste umane non hanno un unico padre ma sono il risultato ultimo di un percorso costituito dai contributi di soggetti diversi in luoghi diversi infatti, non si sa di preciso chi e quando iniziò a distillare le vinacce ma basandosi su scoperte, ritrovamenti e antichi scritti è possibile tracciare un percorso storico di questa paradisiaca bevanda.
Le più lontane testimonianze, trasmesse per tradizione, ci giungono da documenti degli antichi persiani che fanno supporre che la distillazione e gli strumenti per praticarla efficacemente fossero abbastanza conosciuti da questo popolo.
5000 a.C. –  Sono stati ritrovate delle prove dell’estrazione di alcol, partendo dal riso e dal miglio, già nella civiltà cinese di Peiligang.
3100 a.C. – In Mesopotamia, nella zona di Tepe Gawra, sono stati ritrovati resti di alambicchi rudimentali ,ma pare venissero usati per ottenere sostanze aromatiche, profumi e medicinali. Altre antiche testimonianze provengono da reperti archeologici delle regioni del Caucaso dove si produceva un’acquavite dal latte fermentato.
2000 a.C. – Sicuramente anche gli Egizi, che coltivarono largamente le arti e le scienze, conobbero assai per tempo l’uso e la costruzione di apparecchi per distillare il vino e il sidro, avendone ricevuta notizia probabilmente dall’oriente, dopo aver iniziato i primi commerci con l’India, la Babilonia e la Siria. Proprio dagli Egiziani proviene la prima testimonianza scritta che riguarda un alambicco: un certo ‘Cleopatra’ – non tragga in inganno l’omonimia con la celebre donna – costui uomo di scienza e forse sacerdote, in un suo manoscritto del II sec a.C. descrive un apparecchio che passerà alla storia con il nome di “Crisopea”. Si trattava probabilmente di un alambicco elementare che veniva però utilizzato per ottenere balsami ed essenze. Dall’Egitto le conoscenze tecniche passarono poi ai Greci ed ai Romani anche se non sembra che essi praticassero molto intensamente la distillazione poiché i cenni a questa tecnica, nella letteratura, sono piuttosto rari.
Soprattutto nei monasteri e in genere nelle comunità religiose, come abbazie ed altre, si perfezionò l’uso dell’alambicco e in genere dell’arte del distillare. Soprattutto dove era avanzata la coltivazione della vite e quindi di produrre vini e avere vinacce disponibili, residuo più o meno nobile della vinificazione, si cimentarono esperti alchimisti e distillatori improvvisati
Un merito particolare deve essere dato agli Arabi che nel periodo in cui conquistarono il bacino del Mediterraneo e cioè tra l’VIII e il IX secolo, diedero all’arte della distillazione un apporto fondamentale e contribuirono alla divulgazione della sua conoscenza. Durante tutto il Medioevo le ricerche riguardanti la distillazione subirono un arresto non indifferente. Tuttavia, anche in questo periodo sono stati elaborati numerosi apparecchi per distillare.
In origine essi consistevano essenzialmente di tre parti distinte: la caldaia di terra cotta smaltata o di metallo detta “bikos” e più tardi “cucurbita”; il condensatore detto “cappello” applicato al collo della cucurbita e munito di un canaletto interno per convogliare il distillato; la terza parte era denominata “fiala” o “bocca” e serviva per condensare e raccogliere il distillato. Ruolo importante in Italia lo ebbe la Scuola Salernitana che intorno all’anno mille codificò le regole per la concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescriveva l’impiego per svariate patologie umane.
Uno dei primi ricercatori a condurre esperimenti sui derivati del vino fu sicuramente Arnoldo da Villanova (1238-1311), medico, alchimista e filosofo catalano. Nel suo “Liber de vinis” dà ampie notizie sull’acquavite di vino e la definisce “essenza meravigliosa, vera acqua dell’immortalità” dandole per questo motivo il suggestivo nome di “Aqua vitae”, ovvero acqua della vita.
In effetti, una delle sue scoperte più sensazionali fu proprio che dai residui del vino si poteva ottenere una sostanza liquida che del vino non aveva più né il colore né il sapore ma che sembrava possedere eccezionali virtù.
Raimondo Lullo, allievo del Villanova, distillando ripetutamente il vino in presenza di calce viva, usata come disidratante, ottenne un liquido che doveva avere caratteristiche simili a quelle dell’alcol puro. Egli chiamò “acqua ardens” o “acquarzente” il prodotto ottenuto da sette distillazioni consecutive del vino, mentre la definì “quintessenza” quando riuscì ad ottenerla con sole cinque distillazioni. In questo modo, forse senza rendersene conto, stabilì le prime regole della rettificazione degli alcolici.
A Salerno, infatti, risiedeva il famosissimo “Istituto Superiore delle Scienze” che veniva considerato la culla di tutte le facoltà di medicina in Europa. Intorno al 1400 ebbero grande importanza nella distillazione i “mercanti modenesi” che iniziarono a distillare una gran quantità di vini; le acquaviti prodotte venivano vendute ai Veneziani che le esportavano in tutta Europa.
In Francia, nel 1514, venne costituita la prima Comunità dei distillatori di acquavite. In Francia, Michel de Notre-Dame, meglio conosciuto come Nostradamus, nel 1555 pubblica un libro su infusi e distillati.
In Italia la svolta avviee nel 1601 a Venezia, dove le fabbriche e le botteghe di acquavite erano numerose, nacque la “corporazione degli acquavitari”.
Al 1700 risale la più antica industria del settore di distillazione è composta in realtà da una concentrazione di produttori diversi, è quella di Schiedam, sulla foce del Lek, alla periferia di Rotterdam, operano più di quattrocento distillerie. Gli olandesi distillavano vini, frutta, cereali vari, e diventavano praticamente i primi produttori mondiali di alcol; essendo poi dotati di una notevole flotta commerciale, lo esportarono e lo fecero conoscere oltre che in Europa, dove tra l’altro acquistano le materie prime, nel Nuovo Mondo.
Con il Rinascimento si abbandonarono sempre più le regole empiriche dell’alchimia per passare via via alla chimica come vera e propriaprincipale scienza. Quelle che prima erano regole più o meno aleatorie, diventarono quindi leggi chimiche ben definite, abbandonando tutto ciò che non ebbe una reale dimostrazione scientifica.
L’apparecchio destinato alla distillazione, l’alambicco, si andò via via modificando grazie all’introduzione di nuovi materiali derivati dall’industria dei metalli. Nacquero così apparecchiature più complesse ed efficienti, che consentirono capacità di distillazione sempre maggiori fino ad arrivare ai primi distillatori con funzionamento continuo ed ai rettificatori.
A partire dai primi decenni del 1800, grazie a ricercatori appassionati, la tecnica della distillazione fece rapidi progressi fino a raggiungere le conoscenze attuali.
Attualmente le acquaviti più diffuse, soprattutto in Europa, sono derivate dalla distillazione del vino (Cognac, Armagnac e Brandy) e delle vinacce (Grappa), oppure dal fermentato del mosto con le sue bucce (acquavite d’uva),

“E’ trascorso, per fortuna, il tempo in cui la Grappa, soprattutto in Friuli e nel Trentino veniva proposta con immagini che miravano al carattere ‘forte’, ‘alpino’ e ‘montanaro’ della grappa o ‘sgnapa’ in gergo ‘etnico’. La grappa oggi vive una sua nuova ‘vita’, giacché la qualità è decisamente migliorata, ma è soprattutto ‘cambiata’ in modo radicale la comunicazione e l’immagine che si vuol dare della grappa. Non più il ‘grappino’, servito con distrazione, da bottiglie spesso anonime o quanto meno prive d’immagine, e soprattutto senza particolare ‘appeal’ sia nel servizio, sia nel prodotto specifico. La grappa di allora era come il fiasco di vino dato ai contadini in aggiunta alla paga, in cambio della prestazione della ‘manodopera’: una razione ‘calorica’ vuota e senza tanti ‘intrighi’ organolettici.”
Reportage tra alambicchi e ‘spiritosi’ calici” AQL  

Credits: Testi – Matteo Ghirardo; Foto – Cadalpe s.r.l., Distilleria Maschio Bonaventura s.r.l.                                                 

Formaggio in Villa 2016

Evento dall’esterno bello  e interessante, ma organizzazione non proprio impeccabile, con qualche lacuna da correggere

Sempre bella Villa Braida a Mogliano, ideale per eventi come questo. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Sempre bella Villa Braida a Mogliano, ideale per eventi come questo. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Nuova disposizione degli stand con un aumento del numero di espositori.
Non solo formaggi e vini, ma quindi anche carni, ricercate per materie prime e per tipi di lavorazioni.
Piccola rivoluzione anche per lo stand della catena Despar, che non è più solo espositivo, ma offre anche prodotti in degustazione della linea d’elite “Premium” preparati direttamente dagli chef presenti.

Lo stand della catena di supermercati "Despar", con interessanti pietanze preparate al momento. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Lo stand della catena di supermercati “Despar”, con interessanti pietanze preparate al momento.
Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Si vede che la manifestazione sta creando parecchio interesse anche da parte di cantine e aziende alimentari, in quanto rispetto alla scorsa edizione, si nota un maggiore numero di aziende provenienti da fuori regione.
Il pubblico di appassionati e di operatori ne da testimonianza che numero maggiore hanno riempito gli stand nei vari giorni, ponendo anche interessanti domande ai produttori.

Tanti appassionati e tanti operatori del settore: la manifestazione piace anche fuori regione. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Tanti appassionati e tanti operatori del settore: la manifestazione piace anche fuori regione. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Ogni tanto si sentono cose aberranti, ma se fossero appassionati, si potrebbe anche sorvolare, quando invece è un agente di una cantina di Valdobbiadene che dice assurdità sul Prosecco e sui metodi di rifermentazione del vino, c’è da porsi qualche domanda…forse è bene fare un corso di recupero…
Peccato però che si la parte organizzativa a risentirne, in quanto presenta grossi problemi con gli accreditamenti stampa. A oggi non ho ancora avuto risposta da parte della segreteria organizzativa.
Se volete contattarci la mail è: vinoegusto.blog@gmail.com
Forse è meglio sistemare anche questo aspetto, che ne dite?

Credits: Foto e testo: Matteo Ghirardo

Trentodoc Riserva “Aquila Reale” Brut 2007 – Cesarini Sforza

Trentodoc Riserva “Aquila Reale” Brut 2007 – Cesarini Sforza

Trentodoc Riserva "Aquila Reale" 2007 Brut - Cesarini Sforza. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

Trentodoc Riserva “Aquila Reale” 2007 Brut – Cesarini Sforza. Foto: Matteo Ghirardo per Vinoegusto

L’ Aquila Reale è lo spumante al vertice della gamma di Trentodoc dell’azienda Cesarini Sforza, fino a qualche tempo fa guidata dall’omonima famiglia e ora di proprietà del gruppo La.Vis, cooperativa trentina, attiva nella Val di Cembra dal 1948. La storia di Cesarini Sforza inizia nel 1974 grazie alla volontà di alcuni qualificati Imprenditori del settore vitivinicolo trentino, tra cui spiccano il Conte Lamberto Cesarini Sforza, che diede il nome all’azienda e Giuseppe Andreaus personaggio di rilievo nella produzione di spumante metodo classico. La Cesarini Sforza dedica il suo marchio, l’Aquila, a due delle più nobili e celebri famiglie d’Italia, i Cesarini e gli Sforza, che nel corso dei secoli si sono unificate in una sola casata, nel cui stemma campeggia incontrastato il rapace.

Tecnologia di produzione: 100% Chardonnay
raccolta manuale nella prima decade di settembre, pressatura soffice di uve intere, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata per il 50% in
serbatoi d’acciaio inox e per il rimanente in piccole botti di rovere francese, affinamento sulle lisi per 12 mesi circa, rifermentazione in bottiglia, 72 mesi di permanenza sui lieviti.

Note di degustazione: giallo dorato carico e bollicina fine vaniglia miele d’acacia agrumi di sicilia (pompelmo e arancia bionda) legno presente ma non invadente acidità bella presente che si fa sentire morbidezza da zucchero residuo molto piacevole da un brut che si protrae quasi a essere extra dry

Commento: bollicina che non delude, buona morbidezza del vino grazie al residuo zuccherino

Descrizione dell’azienda: prima realtà indipendente, guidata dalla famiglia omonima, Cesarini Sforza, ora fa parte del gruppo Lavis, nota cooperativa trentina fondata nel 1948, situata lungo la valle dell’Adige, nelle colline circostanti e nei caratteristici terrazzamenti della Valle di Cembra. Questa annovera circa 1000 soci viticoltori e 1000 ettari di vigneto in Trentino.  Cesarini Sforza è tra i più noti brand trentini di spumanti Trentodoc.

Data degustazione:  17/05/2016

Credits: Testi e foto: Matteo Ghirardo

Masot – fiabe di vino

Oggi, noi di Vinoegusto abbiamo degustato i prodotti della nuova annata di “Masot, Fiabe di Vino“.
Prosecco DOC Brut ed Extra Dry entrambi millesimati, i due prodotti di punta della giovane azienda immersa tra le colline di Sarmede (TV).

La degustazione:

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Prosecco DOC Treviso Brut Millesimato 2015
Perlage fine ed elegante domina alla vista su uno sfondo giallo verdolino scarico.
Avvicinando il bicchiere a naso si avvertono i profumi freschi e precisi della mela verde, fiori di glicine bianco e gelsomino.
Al palato, un ingresso deciso lascia spazio alla delicatezza della bollicina e alla grande sapidità gustativa. Volutamente mantenuto molto basso il residuo zuccherino per consentire al territorio di esprimere tutta la sua natura.

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Prosecco DOC Treviso Extra Dry Millesimato 2015
La versione Extra Dry si presenta nella stessa veste di quella Brut.
Più ampia e maggiormente fruttata all’olfatto con sentori di rosa bianca.
Al palato, pur parlando di un prodotto tendenzialmente fresco regna l’equilibrio tra la bollicina, l’alcol, acidità e residuo zuccherino.

Due prodotti interessanti con spiccate potenzialità che di certo non temono nessun confronto con i competitor nell’ampio mercato del Prosecco DOC.
Restiamo in attesa della versione frizzante “Col Fondo” a rifermentazione in bottiglia tramite il metodo ancestrale, presto disponibile.

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Credits: Foto: Soc. Agr. Masot – fiabe di vino Testo: Alberto Coletti

Campi Taurasini DOC Aglianico “Nolurè Rosso” 2011 – Nolurè

Nolurè rosso

La Campania è conosciuta per essere terra dove abbonda la coltivazione dei cereali, infatti i Greci e poi i Romani lo avevano capito, identificandola con tutto il resto del Meridione, come “il granaio d’Europa”. Non solo cereali e orticole, ma anche viticoltura, quindi anche enologia soprattutto da vitigni autoctoni come l’Aglianico. Questo ne è un esempio, prodotto da un’azienda forse sconosciuta a molti, ma secondo noi degna di menzione.

Note sul processo di produzione: Aglianico 100%, proveniente da vigneti di proprietà Vendemmia manuale in piccole cassette, nella prima decade di novembre.La vinificazione in acciaio con rimontaggi per aumentare l’estrazione di sostanze dalle vinacce. La fermentazione tumultuosa dura all’incirca 18 giorni, al termine della quale avviene la svinatura. Esecuzione di travasi per favorire la chiarificazione e successiva stabilizzazione per decantazione, in modo da rimuovere le fecce pesanti. Trasferimento del vino in tonneaux e affinamento per 10 mesi. In queste botti il vino svolge la fermentazione malolattica. Imbottigliamento e ulteriore affinamento in bottiglia per 2 mesi, al termine dei quali il vino è posto in commercio.

Note di degustazione: rosso abbastanza violaceo, a tratti aranciato, leggera riduzione appena accennata molto speziato pepato, acidità e tannino quasi da vino del nord. Anche se è prima annata di produzione premesse molto buone.  Prima di essere degustato va decantato e lasciato riposare per qualche minuto in modo che si ossigeni e liberi tutto il potenziale aromatico

Commento: un vino da azienda sconosciuta, ma con buone potenzialità sia al momento della stappatura, sia come futuro nel mercato. In entrambi i casi, bisogna aver pazienza di aspettare.

Descrizione dell’azienda:

Questo progetto è nato dalla nostra volontà di fondere sotto questo marchio la qualità del prodotto agricolo. In particolare sotto il nome Nolurè noi abbiamo raccolto due realtà: una pugliese dove produciamo pasta e olio extravergiene di oliva ed una irpina dove produciamo Irpina Campi Taurasini e Greco di Tufo. In tutti questi prodotti io punto principalmente sulla gestione ottimale del prodotto agricolo perché secondo me: “non si può migliorare ciò che madre natura ha fatto ma solo peggiorare”. Con questa filosofia intendo dire che al centro di Nolurè c’è il prodotto agricolo e la sua valorizzazione attraverso processi che non alterino le sue caratteristiche.

Luigi Alfano, titolare ed amministratore Az. Agr. Alborea Anna Lucia

Data degustazione: 10/05/2016

Credits: Foto: Az. Agr. Alborea Anna Lucia; Testo: Matteo Ghirardo

Talento Brut Etichetta Argento – Vigneti Pittaro

Foto bottiglia

Foto bottiglia. Fonte: sito aziendale “Vigneti Pittaro”

Il Friuli Venezia Giulia non è solo terra di grandi bianchi, soprattutto nella zona delle Grave, terreni con ghiaia di grandi dimensioni dove eccellono varietà come il Friulano (ex Tocai) e il Pinot bianco. In alcune zone vocate si producono anche spumanti metodo classico, quale la zona di Codroipo/Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, dove si trova l’azienda Vigneti Pittaro. Questa realtà vanta una produzione discreta di tali vini, prodotti secondo il “Metodo Talento Italiano”, nato con lo scopo di tutelare gli spumanti metodo classico italiani, non compresi nelle zone a denominazione come Franciacorta, Oltrepò Pavese e Trentodoc.

Note sulla tecnologia di produzione: Il Talento Brut Etichetta Argento come tutti i nostri spumanti è ottenuto col Metodo Classico, ossia con la presa di spuma in bottiglia. Le uve utilizzate sono il Pinot bianco e lo Chardonnay in percentuali che variano in base alla qualità delle uve. La prima fermentazione dello Chardonnay e di una parte di Pinot bianco avviene in acciaio mentre la rimanente quota di Pinot bianco fermenta in legno. Entrambe le tipologie si affinano per alcuni mesi sui propri lieviti mentre è alla fine dell’inverno che si procede all’assemblaggio. A seguire l’avvio della seconda, fondamentale, fermentazione: quella in bottiglia. La successiva sosta del vino a contatto coi lieviti prevede una durata minima di 30 mesi. La sboccatura e una piccola aggiunta di liquer d’expedition chiudono il ciclo di produzione e le bottiglie, dopo una sosta di alcuni mesi in cantina, sono pronte per essere degustate.

Note di degustazione elaborate da noi: giallo paglierino un po’ scarico dai riflessi dorati. Vaniglia, leggero cacao, miele d’acacia e bella spuma cremosa. Anche se non finissima, ma piacevole. Leggera nota amara sul finale, quasi fosse un tannino leggermente amarognolo. Lotto con sboccatura aprile 2015

Commento: uno spumante metodo classico in via di estinzione, ma che alcune case spumantistiche portano avanti, come la Vigneti Pittaro

Breve descrizione dell’azienda: azienda storica della zona delle Grave del Friuli, con sede a Codroipo (UD). E’ conosciuta per la produzione di spumanti metodo classico e vini bianchi e rossi fermi tipici friulani. E’ è associata all’Istituto Talento Italiano. All’interno vi è anche un museo degli ombrelli, passione del fondatore Pietro Pittaro, che ne ha collezionati negli anni di tutti i tipi.

Data della degustazione: 03/5/2016

Credits: Foto e testo: Matteo Ghirardo